Forattini e la gloria della satira
Di Arnaldo Colasanti
Al Castello di Ussel, presso Châtillon, in Val d’Aosta (fino al 3 ottobre), Giorgio Forattini ha edificato l’ultimo fortino napoleonico della storia. Il colpo d’occhio della mostra Satira in gloria è sorprendente.
37 anni di storia italica e internazionale raccontati da 800 vignette esposte per più di seicento metri di spazio, secondo ben sette sezioni (da ricordare almeno, per uno sbotto di umorismo forattiniano, L’Italia malata, Giochi di potere, Comunismo e postcomunismo). L’allestimento è di notevolissima spettacolarità ed eleganza (vere e proprie istallazioni, con materiali differenti, dalle stampe alle sculture, dal legno alla ceramica). Non solo: trova una coerenza estetica quasi luciferina tra la cronaca live dell’Italia e uno dei castelli più belli della Valle d’Aosta, il castello di Ussel, datazione metà del Trecento e in pedigree il fatto di essere il modello architettonico di castello monoblocco, costruito e pensato come un’unica semplice porta che, a piacimento, può aprire o chiudere la valle.
Il curatore Gherardo Frassa, in collaborazione con Roberta Gaito e Annaluce Canali, deve aver pensato che governare le opere di Forattini sia come mettere a posto le foto di famiglia: non riesci mai ad ordinarle perché ci giochi; ciascuna è un mondo a se stante e ti abbaglia per il carico di vita. Accade, così, a Ussel. Tuttavia, la prima attrazione che conquista lo sguardo non è tanto la sottigliezza dell’ironia (grandissima) dell’artista; soprattutto il fatto che ogni vignetta ci sia familiare, parli tecnicamente al presente live – e sia come appena uscita dalla penna del disegnatore. Ecco, l’opera di Forattini è priva di nostalgia. Non è storia, ma è cronaca: cioè la sovranità del giornalismo. Di più: è grande arte figurativa che permette allo sguardo del fruitore di riconoscersi all’istante, sapendo che quello che sta guardando gli appartiene, non è altro che il flusso della propria storia personale.
La vignetta di Forattini parla, non è mai muta. Non sto riferendomi al fatto che quasi tutte siano dei fumetti, con didascalie mordaci. Parlano per il semplice fatto che sono sonore. Anzi e meglio: sembrano sonorizzate da un intreccio di musiche che entrano ed escono dalla scenetta. La musicalità del disegno è il carattere di un’arte che, mentre rappresenta, sintetizza milioni di parole, di battute, di risate e indignazioni (il classico dato “epico” della satira: il suo gusto naturalmente popolare), senza però dissiparle e chiuderle in una semplice “battuta”, come certa satira televisiva e attoriale che guarda, piuttosto, alla barzelletta o, quando riesce, al motto di spirito. In Forattini è tutto diverso: la sonorizzazione significa che le parole (la cultura popolare di quest’arte) restano presenti, pervasive, dialoganti, miniaturizzate nel testo, così che la vignetta, per prima, cerca di essere una finestra aperta sulla vita – un romantico abbraccio offerto al mondo, con una lucidità intellettuale e morale tanto più forte quanto disinteressata da qualsiasi volontà di ferire.
Giorgio Forattini è intelligente, emotivo, felice, autoironico: femminile quanto basta per amare e farsi amare, senza fare sconti a nessuno. La sua “Satira in gloria” è soprattutto la gloria della satira: i desideri e la fede di chi ancora creda che l’arte sia uno strumento a disposizione per capire e per vivere dignitosamente, senza infingimenti. Le sue vignette custodiscono un talento prezioso che, guarda caso, appartiene alla migliore democrazia: la “partecipazione”. Se ci perdiamo nelle sezioni del Castello di Ussel e riconosciamo i volti di Berlinguer, Fanfani, Andreotti, poi via via Craxi alla zuava e il piccolo Occhetto, ii nuovi-nuovi, Prodi, Berlusconi, Fini, Di Pietro, appunto Andreotti, ci sembra di risconoscere gente di famiglia, coloro che “ci appartengono”. Sì, abbiamo la sensazione di partecipare a quella strana famiglia. Non è poco essere riusciti ad avvicinare il pubblico ai totem o, almeno, agli oggetti della politica nazionale. Non è poco essere riusciti a far satira ma fuori dal coro del conformismo o del settarismo, secondo una volatilità precipua che nessuno saprebbe definire meglio se non con un neologismo: la “leggerezza forattiniana”.
I disegni di Giorgio sono l’apice della cultura popolare, con la perfetta spiegazione dei suoi cardini: intelligenza, gioia di vivere, rigore mai moralistico, amore per l’Italia ed emozione per le cose del mondo. Non è certamente un caso che l’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta, soggetto organizzatore e promotore di “Satira in Gloria”, abbia fatto accadere la mostra anche nell’ambito del Festival di Babel, che, fra il 28 aprile e il 2 maggio, è stato la sintesi di quell’esaltazione della “parola” in cui si svelano i sogni e le scommesse della cultura popolare. E forse sarà un caso che proprio il grande Forattini, simile alla statua del Centauro con la matita tricolore in piazza Chanoux ad Aosta, abbia ricostruito quel suo giocattolo, quel suo fortino napoleonico di storia e divertimento a Ussel che, fra nobili e cavalieri, ebbe come ultimo proprietario proprio il barone Marcel Bich. Chi? Ma sì, l’uomo BIC, colui che cambiò il mondo con le sue penne a sfera.
E sorge spontanea una domanda: non è il che il mondo italiano, anche oggi, potrebbe essere salvato, ancora una volta, da una matitina satirica e romantica, tricolore, cordiale e nuda, mai assassina come quella del grande Giorgio Forattini?
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